teatro danza

LA CUMPARSITA testo teatrale

prefazione
Cos’è vero e cos’è falso nella realtà in cui viviamo, la ricerca di senso e di autenticità attraverso il teatro e gli extra comunitari contro la marea di bugie che ci circonda e che ci diciamo. Il linguaggio della verità a teatro, a volte, ti sembra di afferrarlo con le mani in un personaggio, poi ti sfugge, poi ritorna con un altro personaggio, poi l’afferri ancora in un altro e poi ti scivola fra le mani; sfuggente come la sigaretta di Dora, la protagonista; una sigaretta che non riesce mai ad accendere fino alla fine.

Con tutti quei personaggi alla ricerca di se stessi, attorno a lei e ai cellulari, quando cala il sipario, lo spettatore forse si sente un po’ perplesso perché è difficile anche per l’autore spiegare l’autenticità piena, definire una identità. Difficile anche per gli attori emettere il suono e la vibrazione giusta per dare valore al significato delle parole, delle idee e delle sensazioni.

Di certo è che nel teatro non c’è mai ipocrisia, mai il politicamente corretto, mai la finzione o il finto perbenismo, lo stress di essere una cosa e mostrarne un’altra, per questo le parole hanno una loro potenza e riacquistano, nel loro tentativo di comunicare, il loro significato.

A teatro persino le frasi svilite e svuotate nella convenzione del quotidiano riacquistano il loro sapore originario perché vi si entra dentro col bisturi, si scrutano, si allungano, si dipanano, non sono più di convenienza o di circostanza, ma hanno un’emozione, un colore, creano atmosfere, dilatano il tempo e ti costringono a pensare di sentire qualcosa. È come guardarsi in uno specchio, si crede di vedersi in una sola immagine e basta un piccolo movimento o respiro o cambio del pensiero del personaggio che appare un’altra immagine, poi due, poi tre, poi tante, ma poi si rompe tutto a prescindere, e, dietro, in un primo momento, nel buio, gli occhi non vedono più nulla, ma accendendosi un occhione interno, appaiono le cose così come sono e si percepisce la sensazione che sia tutto in luoghi ben precisi del corpo, lontano dal cervello: il cuore e le viscere. In quei luoghi si percepisce una sorta di fascino nel cambiamento, nella precarietà e sorprendentemente anche nella miseria, si percepisce una percezione di senso così lontana dalla materia e dalle certezze che tutto diventa surreale, persino la protagonista. Recita realmente o crede di recitare in un teatro talmente ci è abituata fin da piccola? Forse la storia è una sua allucinazione, forse non è mai partita dalla Russia, ma potrebbe essere anche un’allucinazione della sua rivale, antagonista complice, o forse, sono entrambe nello stesso sogno del loro amato che in fondo le vuole entrambe. Tutto fa pensare che sia la protagonista la più irreale, perché precaria, di passaggio e per nulla attaccata alla materia, eppure, nella sua irrealtà, lei è molto più concreta dei personaggi attorno a lei che la circondano. Personaggi che non sanno neppure dove sono, tanto sono smarriti, e sono tanto inconsapevoli che la felicità che vanno a cercare lontano nevrotizzandosi, la stanno vivendo o ce l’hanno davanti agli occhi ma non la vogliono vedere, o meglio, non la vedono per negligenza. Dora, una extracomunitaria, senzatetto, insegnante, ballerina e attrice affermata nel suo paese, colta e povera, per mantenere i suoi bambini in Russia, è venuta in Italia con tutte le buone intenzioni di svolgere il suo lavoro, ma poi per lei è stata più facile la via della prostituzione, almeno all’inizio del suo soggiorno, ha bisogno di troppi soldi per mantenere i suoi figli piccoli. Chi si mette in contatto con lei si sofferma più a parlare che altro, tramortendola con parole svuotate di significato tanto sono stressati, nevrotici, depressi, demotivati, ma soprattutto distratti. Con lei prima o poi tutto si guarda in faccia, senza fingere, senza ipocrisia, del resto lei viene da una vita in teatro e dalla povertà, là dove le cose sono più semplici di quelle che sembrano e si risolvono talvolta con le soluzioni più impensabili come uno shampoo per i pidocchi. Non possedendo niente e non essendo legata al rubare della prosperità, con la testa completamente pulita, ha piena conoscenza delle circostanze così come sono perché alla fine sono gli orpelli e l’attaccamento alle cose che obnubilano la mente e la direzionano verso la dispersione a pochi passi dalla depressione. Libera da ogni bramosia, accetta con lucidità il suo percorso, le sue trasformazioni e si stacca persino dal possesso più difficile: il proprio corpo che dona ad un’altra persona, come una sorta di liberazione per tutte le botte che ha preso in tutti i sensi, nella speranza che abbia un destino migliore, in cambio chiede solo un lavoro pulito per mantenere i suoi figli. Non è un caso che S. Francesco chiama il corpo “frate asino”. Nello spazio che sa creare per far parlare gli altri con il suo ascolto, le sue pause, i suoi silenzi, la sua immobilità, si scopre il baratro che c’è dietro le loro abitudini, i pregiudizi, i vizi, le distrazioni, le nevrosi. Impossibile per lei non fare la parte del grillo parlante alla fine, la coinvolgono troppo. Le persone che le ruotano attorno, irrisolte e infelici, forse non lo sanno, ma hanno bisogno proprio di questa indagine, non a caso hanno tutti a che fare col teatro in qualche modo perché hanno bisogno di esplorazione e autenticità tanto sono costretti a fingere per sopravvivere e convivere con gli altri nella vita reale, e questo teatro lei dà loro la possibilità di praticarlo in tempo reale, ammesso che se ne accorgono. I personaggi hanno talmente bisogno di cercarsi che, grazie alla sua divertita regia come un testimone esterno alla loro storia, qualcuno alla fine è addirittura disposto a mostrarsi vulnerabile alle vibrazioni dell’amore con un cambio di identità, un travestimento, per farsi capire, per perdonare anche quando pensano di aver ragione fino al punto di disarmare la persona del cuore in un istante, con un colpo di scena, una scusa sincera. È l’umiltà, l’abbandono, un mollare la presa che porta alla pace, alla serenità, all’accettazione degli altri nella loro interezza così come sono, senza giudicare o prevaricare, amandoli incondizionatamente così come si fa nelle comunità povere.

Le persone che entrano in contatto con lei incominciano a farsi delle domande sulla loro identità e sui loro ruoli, viene fuori la vigliaccheria, la distrazione, il pressapochismo, la superficialità, l’egoismo, vera fonte di infelicità, ma soprattutto viene fuori la paura di mettersi in gioco, dei cambiamenti, di essere abbandonati, la paura della morte. Lei li ascolta tutti e cerca di liberare loro la mente da tutti quelli che sono i loro programmi ordinari, i loro condizionamenti, i loro automatismi, le emozioni fuori posto e cerca di veicolarli alla ricerca di una sorta di spontaneità che passa però attraverso una disciplina, attraverso la percezione delle vie intuitive e non della ragione. Ed è così che tutte le loro reazioni inconsapevoli si trasformano piano piano in azioni pure e diventano poesia del gesto, della parola e del pensiero. Prigionieri di meccanismi di censura, i personaggi attorno a lei sembra che non abbiano ancora acquisito un contatto con l’inconscio, fanno fatica a sputare fuori quello che hanno dentro e allora lei si diverte a provocarli come un pescatore con il retino perché percepisce che c’è qualcosa dentro, ma non riuscendoci, alla fine usa l’amo. Una pazienza da certosina, chi glielo fa fare? È l’umanità, quella che spesso si trova nello scarto e nella povertà. Con lei i personaggi alleviano la loro sofferenza non rifiutandola ma prendendola con un’altra consapevolezza, guardandola da un altro punto di vista, e lei, che ha molti più problemi di loro, aiutandoli, redime se stessa. Dora, venendo dalla povertà trasmette la forza per mollare le ipocrite resistenze, i pregiudizi, gli attaccamenti e invita a fluire con gli eventi senza resistenze a favore di una verità che porta a una sorta di pace e di tranquillità. Lei con le sue onde mentali silenziose ed il suo respiro lento, richiama al signifi15 cato di quelle parole che vanno disperdendosi con lo stress di questi tempi: il ritmo e l’armonia. E cosa c’è di più ritmato e armonico del tango? Ecco perché tutti i personaggi ne sono in qualche modo contaminati, perché quell’abbraccio con il suo respiro e il suo battito allontana il soffocamento della vita frenetica, narcisistica e caotica di questi tempi.

Forte di questa sua personalità, la personalità che si forma dalla gavetta dura, tuttavia, la incontriamo anche lei fragile, anche lei avrebbe bisogno di una persona che l’ascoltasse e che l’aiutasse a trovare un lavoro serio e la incontra una sera in una fermata dell’autobus, si chiama Margherita. Anche Margherita ha bisogno di ascolto perché è in piena crisi esistenziale e trova alla fine, in Dora una persona sincera di cui fidarsi. Le due iniziano a parlare del più e del meno, poi la conversazione si accende perché scoprono affinità: l’amore per il teatro, la musica, il tango e alla fine, l’amore per lo stesso uomo, che invece di creare il problema sarà un motivo per unirle ancora di più, fino al punto che nascerà una sorta di divertita complicità in un gioco di scambio di identità. Quest’incontro sarà per loro un’intesa talmente importante che entrambe cercheranno di guarire le loro fragilità mettendo in discussione le loro certezze scomode, in cammino verso quel cambiamento che talvolta non si vuole fare per mancanza di coraggio e di paura a lasciare il conosciuto doloroso, ma sicuro, per lo sconosciuto insicuro, ma che fa intravedere almeno, la possibilità di ritrovare se stessi.

È l’inevitabile ritorsione che arriva da fuori, che stravolge, crea conflitto, sposta, senza significato apparente il mirino delle loro tensioni e, inesorabilmente, delle loro paure. Le loro domande, come le nostre, sono destinate a non ricevere una risposta definitiva però, perché la soluzione nel contesto è illogica. L’argomento tango è il filo conduttore di tutta la storia, con la sua capacità di mantenere vive le emozioni specialmente per chi incomincia ad invecchiare, forse più sentite dei giovani di oggi, così come si presentano nell’intreccio della sto16 ria, che nel tango invece trovano oltre alla passione, l’ordine, l’essenziale e la disciplina. Non è un caso che la musica del tango sia “la cumparsita”, metafora non della fine di una milonga ma l’inizio di “altro”, perché dopo aver ballato tutta la sera, liberi da ogni tensione, si scivola nel luogo più prezioso: l’immaginazione e talvolta si percepisce l’esistenza di un’altra dimensione. Nonostante nell’intreccio della storia si dia così importanza alle parole, alla loro potenza e significato, viene da dire che, tuttavia, alla fine, forse è meglio non dirle affatto e non usare neanche tanto il pensiero, perché tanto non ci si prende mai, tanto più ci si conosce, specie se la comunicazione è intrisa dal troppo ragionare. Forse il “penso dunque sono” diventa “non penso dunque sento” perché per “capire” non serve la laurea della ragione, ma dei sensi, dell’intuito e della percezione.

Forse è meglio fare voto di silenzio come i monaci ma abbracciati nell’abbraccio del tango senza sesso e senza possesso, così non si creano danni. Ed è così che l’essere umano dotato di una sola ala incomincia a volare perché è abbracciato ad un altro essere umano, ed insieme, alleggeriti dal non peso dell’attaccamento e del pensiero, lievitano in una sorta di meditazione a due verso il mistero. Il tango, filo conduttore di tutta la storia, è la metafora dell’emigrante che prima di andare verso gli altri, si radica per cercare la sua identità. Come il ballerino di tango, dopo il radicamento, essendosi rafforzato come le radici di un albero, si mette in relazione con “altro” da sé, forma un equilibrio nel continuo cambiamento e si riorganizza via via in funzione dell’esperienza che vive. Entrambi cercano in un “abbraccio” una positività nell’andare incontro ai rischi della comunicazione con la generosità, l’apertura e l’ascolto. È una comunicazione che non è mai scontata, che si costruisce via via con la poesia dell’attesa, con la delicatezza della pazienza, come due ossa che si avvicinano, si organizzano con capsule, legamenti e con l’articolazione delle cartilagini formano un giunto, un ritmo. E così l’esperienza dell’incontro, invece del conflitto e dello scontro, rafforza il piccolo viaggio di una tanda nelle milonghe. In quella ronda, metafora della condizione umana che cerca, che migra ci si sintonizza con gli altri come in una orchestra dove ognuno ha il suo ruolo ben preciso e tutto diventa come una sorta di sistema solare dove al centro c’è solo il cuore

  • PREMIO SPECIALE DEL DIRETTORE DELLA GIURIA( Alessandro Quasimodo ) DEL PREMIO LETTERARIO SAN DOMENICHINO 2016 Massa
    “Un testo coinvolgente e ben fatto, raro per la sua natura e il suo genere in un mondo in cui quasi non si scrive più per il teatro”
  • segnalato premio letteario pegasus 2016 “culturalandia”Cattolica (RN) 2015
    “Cuore, pathos, emozioni in tutta la scala delle tonalità cromatiche, questo ciò che prova il lettore quando si avventura tra le pagine de “La Cumparsita” coinvolgente testo teatrale di Ivana Brigliadori, che come il celebre brano musicale conquista e convince. L’autrice sciorina con grande maestria una capacità descrittiva fascinosa e suadente scuotendo l’anima dal profondo. Il testo è un inno all’amicizia, al sentimento alla vita, e a quella complicità squisitamente femminile in grado di sublimare l’essere umano rendendolo semplicemente grande, negli intenti, nella disponibilità verso l’altro nella comprensione. Un opera che attraversa la narrazione per celebrare quell’umanità perduta della quale oggi sentiamo un disperato bisogno”